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L’ascesa della galassia centrale
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Qui all’IAP ci occupiamo di elaborare i dati provenienti dallo strumento che osserva nel visibile VIS. Abbiamo sviluppato una pipeline che consente di ottenere la massima pulizia nelle immagini, in modo che i ricercatori possano usarle per le indagini scientifiche. Lo strumento VIS è una grande camera con 36 CCD da 16 milioni di pixel ciascuno. Ogni immagine è grande quindi 600 milioni di pixel e, da programma, lo strumento scatterà circa 80-100 immagini al giorno. Tutti i dati sono organizzati pacchetti codificati che non possono essere utilizzati così come sono. Il software, quindi, deve innanzitutto mettere tutti questi pacchetti nel giusto ordine, decomprimerli e convertirli nel giusto formato.
Questa è un'immagine simulata del tutto simile a quella che riceveremo in uscita dallo strumento VIS. Si possono vedere, per esempio, i raggi cosmici. Sono queste piccole linee sparse in tutte le direzioni. Questi tratti più lunghi, invece, sono prodotti dell'inefficienza del trasferimento di cariche quando si legge l'immagine: quando il CCD è un po' vecchio ed è stato bombardato per molto tempo dai raggi cosmici, infatti, il trasferimento di cariche da pixel a pixel perde di efficienza e alcune cariche elettriche vengono lasciate indietro, creando queste strisciate.
La luce in ingresso nel satellite viene separata in due fasci che raggiungono i due strumenti ottico e infrarosso. Per farlo, si utilizza un disco di vetro chiamato dicroico che separa la luce infrarossa da quella visibile. Il sistema però non è perfetto e lascia passare un po’ di luce visibile nel dicroico creando un'immagine fantasma 100 mila o un milione di volte più debole dell'immagine originale – ma sufficientemente luminosa per essere vista, soprattutto quando osserviamo una stella estremamente luminosa. Si vede come una forma ad anello, e questo anello ad esempio è il fantasma ottico di questa stella. Questa è un'immagine reale ripresa con lo strumento al centro spaziale di Liegi. Al centro abbiamo tre CCD, ogni CCD è composto da quattro quadranti in cui è impressa una sorgente puntiforme molto forte. Siccome questi 12 quadranti condividono la stessa elettronica, la lettura di questa immagine risulta replicata in tutti gli altri quadranti - mentre in realtà non esiste, è un effetto dell'elettronica.
Una volta ripulita l'immagine, inizieremo a fare delle altre piccole operazioni che saranno poi utili ai ricercatori. Principalmente due: l'astrometria e la fotometria. Correggere l'astrometria significa raddrizzare l'immagine confrontando la posizione di ogni stella nell'immagine rispetto a quella che vediamo in cielo, calcolando una sorta di mappa di distorsione del piano focale per correggere tutte le piccole imperfezioni dello strumento, per essere sicuri che le distanze tra le stelle siano quelle giuste e che le dimensioni degli oggetti siano il più precise possibile. Il risultato finale sarà un catalogo in cui riconosceremo ogni stella e sapremo definirne la posizione precisa. La fotometria è una cosa simile, ma invece di considerare la posizione nello spazio riguarda la luminosità. Significa calcolare il valore della luminosità della stella, la sua magnitudine, come la misura lo strumento VIS.
Correggere le immagini da tutti questi effetti significa non solo conoscerli bene, ma anche sapere quali correzioni occorre fare in base allo strumento, collaborando con le persone che l’hanno progettato. È uno sforzo di collaborazione in cui ognuno porta la sua esperienza in modo che insieme possiamo correggere le immagini nel miglior modo possibile per poter fare buona scienza.
Crediti: Collaboration Euclid-France, 2022
Video originale: youtu.be/pY9-NYA3Rn8
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Intervista di Rossella Spiga a Pavel Kroupa, professore all’Università di Bonn.
Per approfondire: https://www.media.inaf.it/2022/10/31/la-mond-governa-gli-ammassi-aperti/
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Ora due team d’astronomi, in modo fra loro indipendente e utilizzando, fra gli altri, i dati dei telescopi gemelli dell’osservatorio Gemini, hanno scoperto un Grb, esploso relativamente vicino a noi, con caratteristiche sorprendenti.
Porta infatti la firma chimica d’una kilonova, il prodotto della fusione di due stelle di neutroni.
Ciò che sconcerta gli scienziati è che i lampi gamma associati a una kilonova non dovrebbero durare più di uno o due secondi. Questo invece ha raggiunto quasi due minuti, ovvero la durata che si associa di solito a una supernova.
Mai prima d’ora s’era visto un Grb lungo emesso a seguito della fusione tra stelle di neutroni.
Video originale in inglese: youtu.be/zf3mAn6wPXM
Versione italiana a cura di Marco Malaspina
Per approfondire: https://www.media.inaf.it/2022/12/07/gssi-inaf-grb-211211a/ e https://www.media.inaf.it/2022/12/07/eleonora-troja-grb-211211a/
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Viaggiando a oltre 5000 chilometri all’ora Orion si avvia verso l’ultimo passaggio ravvicinato attorno alla Luna durante il quale verranno accesi i motori per dirigere la navicella verso Terra, dove è attesa con un tuffo controllato nell’Oceano Pacifico l’11 dicembre.
Mentre i tecnici controllavano le varie funzionalità, le fotocamere montate sulla capsula, in particolare quelle piazzate all’estremità dei pannelli solari, ci hanno regalato fantastici scorci della cavalcata lunare, come quelli che stiamo vedendo in questo montaggio della Nasa.
Confidando nel funzionamento perfetto di tutti componenti del complesso sistema, il pensiero va già alla missione Artemis 2, missione che porterà questa volta un equipaggio a compiere un viaggio attorno alla Luna secondo una sequenza schematizzata in questo video dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea, che contribuisce a queste missioni con un pezzo molto importante, l’EMS, il Modulo europeo di servizio, quel cilindro attaccato sotto la forma conica della navicella Orion.
Dunque è previsto che due astronauti volino nella seconda missione Artemis e prendano il controllo per dimostrare le capacità di volo manuale di Orion. Mentre sarà ancora in orbita terrestre, il veicolo spaziale si staccherà dal suo secondo stadio, volerà via, si girerà, si avvicinerà al secondo stadio e poi volerà via di nuovo, il tutto utilizzando i 33 propulsori del modulo di servizio europeo.
Mentre nella prima missione Artemis è stato il secondo stadio a lanciare Orion nella sua orbita lunare, per la seconda missione sarà il modulo di servizio europeo a fornire alla sonda la spinta finale per il viaggio intorno alla Luna.
L'equipaggio farà volare Orion a quasi 9000 km oltre il nostro satellite prima di completare un singolo flyby lunare e subito tornare verso Terra. La missione durerà un minimo di otto giorni – contro i 25 giorni e mezzo di Artemis 1 - e ci si aspetta che possa pienamente qualificare tutto il sistema per il volo umano.
Il Modulo di servizio europeo, come dicevamo, è il principale contributo dell'ESA alla navicella spaziale Orion della NASA e al programma Artemis. Il modulo di servizio, realizzato parzialmente in Italia, fornisce elettricità, acqua, ossigeno e azoto, oltre a mantenere il veicolo spaziale alla giusta temperatura e sulla rotta stabilita.
È dotato di 33 propulsori, con quattro serbatoi di propellenti e due serbatoi a pressione che lavorano tutti insieme per fornire sia propulsione che tutto il necessario per mantenere nelle migliori condizioni di vita gli astronauti lontano dalla Terra.
Il viaggio di ogni modulo di servizio europeo, termina bruciando nell’atmosfera terrestre, dove viene rilasciato dalla capsula Orion prima dell’ammaraggio.
Servizio di Stefano Parisini
Crediti video: NASA, ESA
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Servizio di Marco Malaspina e Stefano Parisini
Per approfondire: https://www.media.inaf.it/2022/12/05/progetto-ska-oggi-cerimonie-inaugurali-skao-inaf/
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Come possiamo testare la sequenza di calibrazione di Euclid prima di ottenere i dati reali? Ricorrendo alle simulazioni, con le quali riusciremo a produrre immagini molto simili a quelle che ci aspettiamo di ricevere dal telescopio quando sarà in volo. Le immagini che simuleremo saranno quelle dei due strumenti a bordo del satellite Euclid – VIS e NISP – ma anche le immagini degli osservatori a terra di cui abbiamo bisogno per raggiungere gli obiettivi scientifici di Euclid. Oltre a queste immagini scientifiche, produrremo anche tutti i dati necessari per calibrare il processo di elaborazione dei dati. Ad esempio, per la realizzazione di un’immagine simulata dello strumento VIS, la camera che osserva nel visibile, procederemo un po' come se dovessimo comporre un millefoglie: inizieremo con un catalogo di galassie a cui aggiungeremo strati successivi con l’aiuto di vari specialisti di ogni settore. Per cominciare, ci rivolgeremo a specialisti di fisica stellare che ci diranno quante stelle aggiungere, di quale luminosità e di quale colore; per le stelle più luminose aggiungeremo anche delle immagini fantasma, cioè i riflessi della luce parassita all'interno del telescopio. Poi aggiungeremo alcuni raggi cosmici, le particelle energetiche che lasciano tracce sottili e luminose sul rivelatore. Poi ancora un livello che simuli le differenze di sensibilità tra gli elementi del mosaico di rivelatori e, infine, ci rivolgeremo al team che ha costruito lo strumento stesso, per chiedere informazioni su come simulare le degradazioni strumentali, visto che il rivelatore non è perfetto. Come per la camera visibile, per simulare i dati che verranno presi dallo spettrografo infrarosso NISP cominceremo dai cataloghi di galassie e stelle, a cui aggiungeremo le imperfezioni introdotte dal telescopio e dallo strumento con il detector infrarosso. La specificità della camera infrarossa di Euclid è il suo sistema di dispersione ottica, che permette di separare le lunghezze d’onda della luce emessa dalla sorgente sul piano focale e di ottenere così lo spettro della luce, che verrà usato per calcolare con grande precisione la distanza a cui questa luce è stata emessa. Fare delle simulazioni per le osservazioni spettroscopiche è molto complicato, e di fatto richiede il 50% del tempo di calcolo totale delle simulazioni della Scientific challenge 8. Sono circa dieci anni che lavoriamo allo sviluppo di questo simulatore. Ora, per simulare una sola osservazione nei due canali strumentali ci vuole circa mezza giornata, mentre per l'ultima grande esercitazione che abbiamo fatto, che copriva circa 150 gradi quadrati, il tempo di esecuzione è stato di circa una settimana su un supercomputer con circa 1000 processori.
Crediti: Collaboration Euclid-France, 2022
Video originale: youtu.be/b5tlACuiulw
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Finalmente è giunto il momento di parlare della costellazione di Orione. A mio avviso la più bella del cielo boreale perché in questo periodo è alta nel cielo, ben riconoscibile, e racchiude in essa un condensato di astrofisica con i suoi oggetti celesti visibili ad occhio nudo, al telescopio e con fotografie a grande campo. Dà il nome al grande complesso di nubi molecolari giganti che appunto è visibile in questa costellazione. E quindi iniziamo il viaggio verso il grande cacciatore.
È facile riconoscere due stelle principali, luminose e ben visibili anche dalle città: La gigante rossa Betelgeuse con una temperatura superficiale di duemila e cinquecento gradi e Rigel una supergigante blu dalla temperatura di ventimila gradi.
Betelgeuse e Rigel, insieme alle altre due stelle Bellatrix e Saiph delimitano il quadrilatero al cui interno ci sono le tre stelle ben allineate della cintura e le stelle della spada di Orione.
Ma facciamo un passo indietro di qualche hanno. Nel film Blade Runner, ambientato nel 2019 l’androide Roy Batty, prima di morire, nomina i bastioni di Orione riferendosi proprio alla spalla del Cacciatore, la stella Betelgeuse distante cinquecento anni luce da noi, che proprio (per coincidenza casuale ci mancherebbe) nel 2019 ha dato segni di inaspettata variabilità affievolendosi notevolmente come non mai e scatenando anche la paura di un suo scoppio improvviso.
Ora sappiamo, tramite un’attenta interpretazione delle osservazioni con il telescopio spaziale Hubble, che la stella ha espulso un’incredibile parte consistente della sua massa formando una nube oscurante davanti alla linea di vista, interrompendo così una sua intrinseca e regolare variabilità di 400 giorni. Non solo, da un recentissimo studio storico sembra che nell’arco degli ultimi duemila anni Betelgeuse abbia cambiato colore da gialla a rossa. Oltre alla notizia in se, è un pensiero a considerare che, sebbene i tempi della vita umana siano estremamente brevi rispetto ai tempi scala astronomici, da un’analisi approfondita scientifica e storica, possiamo trarre informazioni preziose sull’evoluzione di oggetti celesti considerati, secondo il senso comune, immutabili nel tempo.
La più bella nebulosa visibile anche ad occhio nudo, sicuramente con un binocolo e spettacolare con un telescopio anche piccolo, o tanto meglio in fotografia, è M42 o grande nebulosa di Orione. Lì nascono nuove stelle che sostituiranno quelle morenti come Betelgeuse, riciclando il materiale interstellare da esse espulse. È piuttosto facile trovarla apparendo come una luminescenza introno alla stella centrale della spada di Orione proprio sotto la cintura.
Fanno parte anche del complesso di Orione l’anello di Barnard, a forma di grande arco con il centro posto circa nella nebulosa di Orione, esso è una nebulosa ad emissione visibile nelle foto a lunga esposizione e largo campo. Distante circa 1600 anni luce, ha una dimensione di circa 300 anni luce e probabilmente è un resto di supernova esplosa 2 milioni di anni fa e reso visibile dalle stelle della nebulosa di Orione stessa che ionizzano i gas dell’anello.
Inoltre troviamo la nebulosa Testa di Cavallo, una bellissima nebulosa oscura invisibile ad occhio nudo si trova vicino alla stella Alnitak della cintura. la sua inconfondibile forma rende conto in modo inconfutabile del nome dell’oggetto celeste.
Abbandoniamo Orione per ritornare… si fa per dire… con i piedi per terra.
A circa metà strada tra Betelgeuse e Procione, la stella principale del Cane minore, c’è un ammasso stellare aperto NGC 2264 chiamato ammasso Albero di Natale, Si trova nella costellazione dell’Unicorno. Non è molto difficile osservarlo già dalle prime ore della notte, guardando ad est. A bassi ingrandimenti si possono osservare una ventina di stelle disposte a triangolo con una forma che ricorda l’abete natalizio.
Prolungando verso il basse le tre stelle della cintura. Raggiungeremo Sirio, la stella più brillante stella del cielo a causa della sua vicinanza di soli 8,6 anni luce.
Sotto Sirio, nella costellazione del cane maggiore è possibile osservare M41 o ammasso del piccolo alveare, un ammasso aperto di stelle visibile ad occhio nudo come una piccola macchia a sud ovest di Sirio e ben visibile al binocolo o con un piccolo telescopio.
E per finire con le costellazioni di Dicembre, in questo mese alte nel cielo fanno da contorno ad Orione le costellazioni del Toro, dell’Auriga e dei gemelli mentre verso nord saranno ben visibili Cassiopea e Perseo.
La Luna all’inizio del mese ha appena passato il primo quarto, sarà piena l’8 dicembre, passerà all’ultimo quarto il 16 e nuova il 23 dicembre.
[...]
A cura di Fabrizio Villa
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I colori rappresentano le lunghezze d’onda dell’infrarosso invisibili all’occhio umano e caratteristiche dell’emissione della polvere interstellare, ma non delle stelle, che risultano invisibili in questa parte dello spettro elettromagnetico.
Un nastro di polvere fredda fino a 260 gradi sotto zero, per cui è stato scelto il colore rosso, conduce all’interno della nebulosa, mentre la polvere rappresentata in blu è molto più calda, a causa della radiazione proveniente da giovani stelle qui invisibili.
Nel cuore della Nebulosa di Orione la polvere viene riscaldata dalle stelle più mature ivi residenti.
Proseguendo nella carrellata, possiamo notare dei piccoli punti luminosi, che rivelano dove si si stiano accendendo nuove stelle. Questi incubatori stellari sono molto “polverosi”, ma, quando nasceranno, le giovani stelle soffieranno via la polvere circostante.
Nuovi punti caldi d’incubazione stellare possono essere rintracciati in tutta la nebulosa, una regione la cui morfologia viene continuamente ridisegnata da nascita e morte delle stelle.
Servizio di Stefano Parisini
Crediti video: ESA/NASA/JPL-Caltech
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Il congresso è organizzato dall'INAF Osservatorio Astronomico di Palermo in collaborazione con le altre sedi dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), con l’Istituto per le Tecnologie Didattiche (ITD) e l’Istituto di Calcolo e Reti ad Alte Prestazioni (ICAR) del CNR di Palermo, con il VisitLab del CINECA e con l’Istituto Euro-Mediterraneo di Scienza e Tecnologia (IEMEST), nell'ambito del progetto Prin INAF "Virtual Reality and Augmented Reality for Science, Education and Outreach".
Servizio di Giuseppe Fiasconaro
Riprese di Laura Leonardi
00:00 - Intro
00:41 - Bartolomeo Sammartino (presidente IEMEST)
01:19 - Laura Daricello (INAF)
02:49 - Caterina Boccato (INAF)
Per approfondire: https://indico.ict.inaf.it/event/1987/
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Maggiori informazioni sono disponibili su Media Inaf:
https://www.media.inaf.it/2022/11/28/samm-telescopio/
Servizio di Marco Galliani
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00:00 - Intro
00:35 - Marco Tavani (presidente Inaf)
01:55 - Antonio Stamerra (astrofisico Inaf)
03:15 - Francesco Ubertini (presidente Cineca)
Servizio di Marco Malaspina
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Servizio di Claudia Mignone, montaggio di Stefano Parisini
#futuroremoto
#napoli
#cittàdellascienza
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Servizio di Francesca Aloisio - Riprese di Claudia Mignone
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Il bollettino di novembre 2022 è a cura di Lucia Abbo , riprese e montaggio di Alberto Cora. Dati Esa/Nasa, elaborazione Swelto.
https://sorvegliatispaziali.inaf.it
http://swelto.oato.inaf.it
#spaceweather
#sole
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Le nubi che splendono nella regione di formazione stellare del Toro sono visibili in realtà visibili solo in banda infrarossa. Un soggetto dunque perfetto per NirCam, la fotocamera nel vicino infrarosso di Webb.
La protostella si trova proprio nel collo della clessidra, ed è avvolta da una nube di materia che ne alimenta la crescita. Al tempo stesso la luce emessa illumina le cavità scavate nella polvere e nell’idrogeno molecolare circostanti dall’emissione della stella stessa.
L’età di L1527 è di appena 100mila anni, dunque è nella sua primissima infanzia, ancora avvolta in un fitto bozzolo di gas e polveri, e ancora ben lontana dal diventare una stella a tutti gli effetti. Per essere una stella dovrebbe infatti produrre energia attraverso un processo di fusione nucleare dell’idrogeno. Processo che in L1527, in quanto protostella, non ha ancora preso piede.
In questa fase di transizione, la sua forma, per lo più già sferica, è ancora molto instabile, dandole l’apparenza d’un piccolo e gonfio ammasso di gas caldo tra il 20 e il 40 per cento della massa del Sole.
Video originale: youtu.be/hbbuHuJ-veA
Versione italiana a cura di Marco Malaspina
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Discover ESA è uno strumento di comunicazione immersivo, multimediale e interattivo, che offre al pubblico, di tutte le età, l'opportunità di scoprire le attività di ricerca, e non solo, dell'ESA, l’Agenzia Spaziale Europea.
Un vero e proprio biglietto da visita che l’Esa ha strutturato in sei itinerari coinvolgenti, ricchi di video, interazioni, approfondimenti e viaggi virtuali tematici, fruibili da pc e da device mobili come smartphone e tablet.
Durante la navigazione, gli utenti possono scoprire il lavoro e le collaborazioni europee e internazionali in cui l’Esa è coinvolta e che le permettono di raggiungere i propri obiettivi scientifici di ricerca spaziale.
Allo sviluppo della piattaforma Discover Esa, hanno collaborato l'azienda ATG Europe e Medialab e il team, tutto italiano, di Remedia group.
Ma come è stata pensata e sviluppata la piattaforma Discover Esa? Lo abbiamo chiesto a Karina De Castris, responsabile del Progetto Discover ESA e a Michiel Vulling, responsabile innovazione per ATG Medialab.
Dalla piattaforma è possibile entrare virtualmente all’interno di otto sedi Esa sparse per l’europa, come la sede Esa Esrin di Roma, per lasciarsi affascinare dai luoghi in cui nasce e si evolve la ricerca spaziale.
Attualmente la piattaforma e tutti i suoi contenuti sono solo in lingua inglese ma il team di sviluppo si augura di poter presto aggiornare l’esperienza interattiva e renderla più accessibile a tutti i cittadini europei.
Servizio di Laura Leonardi
Crediti video: Esa, L. Leonardi INAF
Musica: A. Shamaluev "Epic presentation"
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Euclid è una missione spaziale dell’Esa di classe M, che sarà lanciata nel 2023 per fare studi di cosmologia osservativa. L'obiettivo è determinare l'evoluzione del contenuto energetico dell'universo, cioè la quantità di materia oscura e di energia oscura presenti in diverse epoche, concentrandosi su come queste cambiano le forme delle galassie che osserviamo a un redshift intorno a 1, circa 7 miliardi di anni fa. Per fare cosmologia osservativa in modo corretto, dobbiamo essere in grado di misurare le distanze e capire com’è selezionato il campione di galassie che vediamo. Per questo motivo, dobbiamo controllare molto bene il modo in cui vengono effettuate le osservazioni ed essere in grado di analizzare tutti i bias introdotti dagli strumenti. Allo stesso modo, per studiare la deformazione delle galassie – un fenomeno noto come weak lensing, che dipende dalla quantità di materia oscura ed energia oscura presenti nello spazio – dobbiamo sapere perfettamente come le ottiche del satellite agiscono su di esse, e correggerle a livelli che non sono mai stati raggiunti prima.
Il segmento di terra è la punta dell'iceberg di ogni missione, è l'entità che si occupa di elaborare i dati, dalla ricezione a terra alla creazione di prodotti che possono essere utilizzati dagli scienziati per fare ricerca. All’interno di ogni campo di vista del telescopio Euclid, verrà misurata la forma di 25 mila galassie, il che significa raccogliere circa 800 GB di dati al giorno.
L'elaborazione segue diverse fasi: l'Agenzia Spaziale Europea riceve la telemetria dal satellite e la trasforma nei cosiddetti prodotti di livello 1, che sono le immagini della camera Vis e quelle di Nisp, lo spettro-imager. Man mano che arrivano, le immagini vengono elaborate per verificare che siano di buona qualità e per rimuovere eventuali difetti estetici; vengono poi unite ai dati di altre missioni, una componente fondamentale per la buona riuscita di Euclid; vengono prodotti i cataloghi delle galassie osservate, vengono misurati gli spettri nei dati spettroscopici e da questi calcolati i redshift; vengono quindi misurate le forme delle galassie e la loro distanza, attraverso il cosiddetto redshift fotometrico. Tutti questi rientrano fra i prodotti di livello 2.
A questo punto, si cominciano a realizzare i prodotti di livello 3, quelli che consentono di fare cosmologia, come misurare gli spettri di potenza o rilevare gli ammassi di galassie. Il livello 3 è stato incluso, per la prima volta, nella Scientific Challenge 8. Si tratta di un test di tutta la pipeline di riduzione e analisi dei dati, che ora, per la prima volta, è in grado di eseguire tutte le operazioni in successione. Abbiamo fatto una prova su una piccola porzione di cielo di 150 gradi quadrati, circa 1/100 di quello che Euclid osserverà alla fine.
Il segmento di terra, quindi, è responsabile dell'elaborazione dei dati, dalla ricezione da parte dell'Esa all'estrazione dei prodotti scientifici. Quasi 170 persone in 60 istituti in Europa, Stati Uniti, Canada e Giappone sono coinvolte nel suo sviluppo. La Francia, con il Cnes, il Cnrs, il Cea e le università, rappresenta il 30% di questa forza lavoro e ospita uno dei nove centri di calcolo.
Crediti: Collaboration Euclid-France, 2022
Video originale: youtu.be/QEMBxAg4VMc
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Servizio di Rossella Spiga e Marco Malaspina
#Arcetri #Pianoforte #Einstein
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Per ora tutto sta procedendo secondo il piano di volo, fa sapere la Nasa: i pannelli solari della capsula Orion si sono aperti, lo stadio superiore ha impresso la spinta programmata, la separazione è avvenuta, e ora Orion e il modulo di servizio – fornito dall’Agenzia spaziale europea – sono in volo verso la Luna. In queste prime ore verranno anche rilasciati i dieci cubesat ai quali Artemis I ha dato un passaggio, fra cui l’italiano ArgoMoon, realizzato per conto dell’Asi dalla torinese Argotec. E fra meno di una settimana, se tutto prosegue secondo programma, la capsula si troverà ad accarezzare la superficie lunare a meno di 100 km di distanza. Per i voli con equipaggio e per l’approdo sul suolo del nostro satellite dovremo invece attendere ancora qualche anno.
Servizio di Marco Malaspina
Per approfondire: https://www.media.inaf.it/2022/11/16/artemis-lanciato-il-razzo-del-ritorno-alla-luna/
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Nonostante sia ripresa nelle lunghezze d’onda del visibile, questa immagine non ha colori come potremmo vedere con i nostri occhi, ma utilizza a scopi scientifici una selezione molto stretta di specifiche emissioni: quella dell’ossigeno per il blu, dello zolfo per l’arancione, e di azoto e idrogeno per il verde.
Sempre Hubble ha poi ripreso la stessa zona di cielo ma questa volta nel vicino infrarosso, una banda che permette di penetrare la spessa cortina di polvere, recuperare il magnifico cielo stellato retrostante e scorgere meglio le stelle in via di formazione. I contorni spettrali dei pilastri sembrano molto più delicati e si stagliano contro una lugubre foschia blu.
Il nuovo telescopio spaziale Webb non poteva mancare di riprendere questa icona nelle uniche bande a sua disposizione, quelle dell’infrarosso. In particolare qui vediamo l’osservazione nel medio infrarosso dello strumento europeo Miri. Le stelle in genere non emettono molta luce nel medio infrarosso, e questo tipo di ripresa è più adatta a evidenziare i molteplici strati di gas e polveri da cui si originano nuove stelle una volta raggiunta la densità critica.
Si notano comunque alcune stelle, di due tipi: le stelle alla sommità dei densi pilastri di polvere, che vengono rappresentate in rosso perché le loro atmosfere sono ancora avvolte in mantelli di polvere. Al contrario, i toni blu indicano stelle che sono più vecchie e hanno perso la maggior parte del loro gas e polvere.
Passando invece allo strumento del Webb sensibile al vicino infrarosso, Nircam, ecco di nuovo una cortina di stelle che fa da palcoscenico alle colonne di gas e polvere che in questa lunghezza d’onda appaiono semi-trasparenti.
Ed è ancora più evidente quello che succede sui bordi dei pinnacoli, dove sembrano esserci come delle colate di lava: si tratta di materiale espulso da stelle in via di formazione, le quali producono periodicamente getti supersonici che possono interagire con il materiale circostante creando delle onde d’urto, come quelle di una barca che corre nel mare. Si stima che queste giovani stelle abbiano solo poche centinaia di migliaia di anni e che continueranno a formarsi per milioni di anni.
La nuova visione di Webb dei Pilastri della Creazione aiuterà i ricercatori a rinnovare i modelli di formazione stellare, modelli che proprio in questa zona di cielo trovano uno dei loro banchi di prova migliore, potendo misurare accuratamente sia la quantità degli ingredienti – gas e polveri – che il numero di stelle che vengono cucinate nel corso di milioni di anni.
Servizio di Stefano Parisini
Crediti video: NASA, ESA, CSA, STScI, Hubble Heritage Project
Musica: You Vintage, Grow in the Dark by Ketsa
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Lo hanno chiamato “il Serpente”, dicevamo, e non è che l’ultima new entry nel sempre più ampio lessico solare, lo zoo di conformazioni di plasma – piume, pennacchi, falò, corde, anelli e via dicendo – che popolano l’atmosfera della nostra stella.
Il serpente solare avvistato dalla sonda dell’Esa si contraddistingue per essere un animale a sangue freddo, vale a dire, fuor di metafora, una struttura tubolare di gas atmosferico a temperatura più bassa rispetto al plasma circostante.
Essendo anch’esso null’altro che plasma, dunque un gas di particelle cariche, i movimenti sinuosi del serpente seguono un invisibile binario magnetico che va da un lato all’altro del Sole. Per completare il suo viaggio attraverso la superficie della nostra stella, correndo alla pazzesca velocità di 170 chilometri al secondo, il serpente di plasma ha impiegato circa tre ore. Intervallo di tempo che in questo video vediamo compresso in una manciata di secondi: si tratta infatti di un time-lapse ottenuto dalle immagini acquisite dallo strumento Extreme Ultraviolet Imager a bordo di Solar Orbiter, una sorta di macchina fotografica sensibile alla radiazione ultravioletta.
Servizio di Marco Malaspina
#SolarOrbiter #EUI #Snake
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Partendo dalla nostra posizione nella Galassia e muovendoci per successivi ingrandimenti ci avviciniamo alla costellazione dell'Unicorno, nei pressi di Orione, dove si trova appunto l'ammasso NGC 2264. È all'interno di questo ammasso che incontriamo la forma a pilastro della Nebulosa Cono. La nuova straordinaria veduta della nebulosa, catturata con lo strumento FORS2 installato sul Very Large Telescope dell’ESO, in Cile, mostra l'aspetto nebuloso, scuro e impenetrabile di questa formazione. Il profilo simile a quello di un pilastro è un perfetto esempio delle forme che possono svilupparsi nelle nubi giganti di polvere e gas molecolare freddo, luogo d’elezione per il formarsi di nuove stelle.
Servizio di Marco Malaspina
#ESO #VTL #BGC2264
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Reso noto circa sei ore dopo il lancio di lunedì scorso, avvenuto con un razzo Antares dalla Wallops Flight Facility della Nasa, in Virginia, il problema riscontrato nel dispiegamento del pannello solare aveva inizialmente causato una certa apprensione, benché i calcoli dei responsabili della missione avessero confermato che l’energia fornita da un pannello soltanto sarebbe stata comunque sufficiente per il completamento del rendez-vous, come in effetti è stato.
La cattura del cargo spaziale, con a bordo quattro tonnellate di rifornimenti, è avvenuta grazie al braccio robotico Canadarm 2, presente a bordo della Stazione spaziale, manovrato per l’occasione dall’astronauta della Nasa Nicole Mann. A bordo, oltre ai rifornimenti e al materiale scientifico per esperimenti, c’è anche una staffa destinata all’installazione dei nuovi pannelli solari per la Iss. Gli astronauti la fisseranno alla stazione orbitante nel corso di un’attività extraveicolare in programma per il 15 novembre.
Quanto alla capsula Cygnus, rimarrà agganciata alla Iss fino alla fine di gennaio, data prevista per rientro distruttivo controllato nell’atmosfera terrestre.
Servizio di Marco Malaspina
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Per approfondire questi temi, l'Istituto delle Nazioni Unite per la ricerca sul disarmo (#UNIDIR) ha organizzato, nei primi due giorni di novembre, una conferenza sulla Outer #Space #Security: un forum unico per la comunità diplomatica con sede a Ginevra e per esperti provenienti da ambienti militari, industriali e accademici, per discutere le peculiarità del dominio spaziale e analizzare le opzioni politiche per migliorare la sicurezza spaziale.
Guido Sbrogiò ha seguito i lavori della conferenza e ha intervistato tre degli speaker: Aidan Liddle (Ambassador and Permanent Representative, United Kingdom Delegation to the Conference on Disarmament in Geneva), Xavier Pasco (Director, Fondation pour la recherche stratégique) e Benjamin Silverstein (Research Analyst, Space Project, Carnegie Endowment for International Peace).
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I ricercatori hanno inizialmente scoperto il sistema binario nei dati di Gaia, il satellite europeo che ha misurato con grande precisione miliardi di stelle. Gaia è infatti riuscita a registrare le minuscole irregolarità nel movimento della stella, causate dalla gravità di un invisibile oggetto massiccio.
Con il telescopio terrestre si sono poi analizzate nel dettaglio le caratteristiche del sistema binario, composto dalla stella denominata Gaia BH1 che ruota attorno a un buco nero distante quanto la Terra lo è dal Sole.
La scoperta è importante perché l’esistenza di un siffatto sistema mette un po’ in crisi i modelli evolutivi di stelle binarie, suggerendo inoltre che vi possano essere tanti altri buchi neri dormienti nei sistemi binari, all’interno dei quali si trova la maggior parte delle stelle nella Via Lattea.
Servizio di Stefano Parisini
Crediti video: T. Müller (MPIA), PanSTARRS DR1 (K. C. Chambers et al. 2016), ESA/Gaia/DPAC, International Gemini Observatory/NOIRLab/NSF/AURA
Musica: Hopp Dubb by Ketsa
Per approfondire: https://www.media.inaf.it/2022/11/04/ecco-il-buco-nero-piu-vicino-alla-terra/
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Osservare l'universo significa studiare la luce emessa da tutto ciò che lo compone, sia la luce che possiamo vedere con i nostri occhi sia quella che non vediamo.
Guardate questa porzione di cielo. Chiudete le palpebre e immaginate che i vostri occhi stiano captando la radiazione infrarossa. Stupefacente, no!? Molti fenomeni astrofisici sono invisibili con un telescopio ottico. Ma questa è solo una piccola parte di tutta la #radiazione elettromagnetica che osserviamo nell'universo.
Queste radiazioni sono onde, caratterizzate dalla loro frequenza e lunghezza. Quando questa lunghezza è compresa tra 0,7 e 100 micrometri si parla di #infrarossi.
Ciò che definisce la lunghezza d'onda è la temperatura dell'oggetto o del fenomeno all’origine dell’emissione. Il Sole, ad esempio, emette radiazioni principalmente attorno agli 0,6 micrometri di lunghezza, che corrisponde alla luce visibile ai nostri occhi.
Corpi molto caldi, molto più di quanto lo sia il Sole, emettono in lunghezze d'onda molto corte. Ogni corpo ha quindi un dominio, una banda d’emissione dominante.
Sulla Terra, la temperatura ambiente significa che l'infrarosso è onnipresente, come la luce visibile. Naturalmente il pianeta emette infrarossi, noi emettiamo infrarossi, il tostapane, i ghiaccioli, e anche gli animali. Questa emissione può essere rilevata con una telecamera a infrarossi, che funziona sostanzialmente da termometro.
Anche nello spazio molte cose sono rivelate nell'infrarosso, da qui l'interesse dell'astronomia. I primi telescopi a infrarossi risalgono al 19° secolo. Poi nel 1983 la NASA lanciò il primo telescopio a infrarossi spaziale, Iras, che è stato seguito da Herschel, Spitzer e più recentemente da Webb.
Osservare dallo spazio è vantaggioso perché le onde infrarosse vengono assorbite dall'atmosfera terrestre, dal vapore acqueo, e difficilmente raggiungono la superficie.
Però un telescopio a infrarossi non si costruisce come un telescopio ottico. Il satellite stesso, in particolare, può emettere infrarossi e quindi rischiare di inquinare le osservazioni con le proprie emissioni. Ecco perché occorre raffreddare il telescopio, in modo che emetta meno radiazioni nell’infrarosso.
Nello spazio i corpi celesti meno caldi, con una temperatura sotto i 1500 gradi, sono quelli che emettono più infrarossi. I telescopi infrarossi permettono quindi di vedere, di rilevare, questi oggetti dall’emissione caratteristica: nane brune o esopianeti, per esempio.
Ma permettono anche di osservare fenomeni che hanno avuto luogo molto, molto tempo fa. L'universo si è formato più di 13 miliardi di anni fa e gli scienziati vogliono catturare le onde elettromagnetiche emesse durante questi primi momenti.
Teoricamente, queste onde originali hanno viaggiato lungo più di 13 miliardi di anni luce – e quindi per più di 13 miliardi di anni - per raggiungerci intatte e darci un'immagine dei primi fenomeni, delle prime stelle situate lontano nel tempo e nello spazio.
In realtà, queste onde non arrivano intatte, perché l'universo si sta espandendo e tutti gli oggetti si stanno allontanando l'uno dall'altro. Queste prime stelle si stanno dunque allontanando da noi, l'universo si sta allungando e aumenta quindi anche la lunghezza d'onda emessa durante questi primi momenti, spostandosi verso il rosso e l’infrarosso. Catturare l'infrarosso significa quindi osservare onde potenzialmente molto vecchie, il che piace molto agli astrofisici.
Infine guardate lì verso il centro della nostra galassia: vedete questa polvere? Ebbene, con un telescopio a infrarossi si può vedere cosa c'è dietro. La radiazione infrarossa, per la sua lunghezza d'onda, passa attraverso queste nubi senza essere assorbita o dispersa. Possiamo così scrutare attraverso i grumi di polvere nell'universo questi vivai dove nascono le stelle.
Ma basta cambiare tipo di telescopio che ci troviamo subito davanti un universo mostruosamente caotico.
Traduzione di Stefano Parisini
Scruter l'Univers : #2 – Observer les infrarouges
Video originale https://videotheque.cnes.fr/doc=38770
Une production CNES-SapienSapienS
Réalisation SapienSapienS
© CNES 2022
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Prima di una missione, ingegneri e scienziati pianificano attentamente il viaggio e la traiettoria che dovrà seguire la navicella. Dopo il lancio, la sua distanza viene calcolata utilizzando il Deep Space Network per inviare segnali radio al veicolo spaziale e misurando il tempo necessario affinché questi segnali radio vengano ricevuti, e ritrasmessi alla Terra. E, con lo stesso segnale, misurando l’effetto Doppler sulle righe è possibile anche calcolare la velocità con cui si sta muovendo. Se si sta allontanando dalla Terra, le onde radio provenienti dalla navicella appariranno a una frequenza più bassa, in modo proporzionale alla velocità di allontanamento. Se invece la distanza tra la Terra e il veicolo spaziale diminuisce, le onde radio appariranno a una frequenza più alta.
Possiamo sperimentare l’effetto Doppler continuamente, intorno a noi. È il motivo per cui una sirena suona con un tono più alto quando si avvicina a noi e poi si abbassa quando si allontana.
Tornando al Deep Space Network, i responsabili di missione possono quindi determinare la posizione e la velocità di un veicolo spaziale con grande precisione. E, se si rendesse necessario un aggiustamento di rotta, le stesse onde radio possono trasportare comandi per cambiarne la traiettoria.
È grazie a questa tecnica che ingegneri e scienziati sulla Terra, dopo un viaggio di milioni di chilometri, fanno atterrare con precisione un veicolo spaziale su Marte o lo mettono in orbita intorno a un altro pianeta del Sistema solare. Senza le numerose antenne della rete Deep Space Network, la Nasa non sarebbe in grado di navigare o comunicare con nessuna delle missioni spaziali lontane che esplorano il Sistema solare.
Servizio di Valentina Guglielmo
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In questo periodo la costellazione del toro è abbagliata da Marte che avvicinandosi alla sua opposizione sarà visibile per tutta la notte e per tutto il mese. Seguite Marte notte dopo notte nel suo lento cammino dalle corna verso la testa del toro formata dall’ammasso delle Pleiadi e dal suo occhio Aldebaran. Confrontando Marte con Aldebaran, entrambi arancioni, noterete come la luce del pianeta, sebbene più intensa, sia più ferma, meno luccicante. Questa è proprio il modo, oltre al suo spostamento rispetto alle stelle, di riconoscere un pianeta in cielo.
Marte nei primi giorni del mese si troverà vicino ad uno degli oggetti più importanti ed interessanti del cielo boreale. La nebulosa del granchio o M1, il primo oggetto catalogato dall’astronomo Messier nel 1774. Visibile anche con un modesto telescopio amatoriale, la Crab come viene amichevolmente ed internazionalmente chiamata, è un resto di supernova scoppiata il 4 luglio del 1054 come riportato dalle testimonianze scritte degli astronomi cinesi della dinastia Song. M1 è l’oggetto del cielo più studiato con osservazioni dalle onde radio ai raggi gamma ed è considerato un calibratore per le osservazioni emettendo un segnale ben conosciuto e studiato anche in polarizzazione. La sua stella di origine ora è una pulsar con un diametro di soli 20Km circa ed una massa simile alla quella solare e ruota a 30 giri al secondo sembra proprio una trottola celeste.
Sempre nella costellazione del toro ma questa volta alla destra di Aldebaran, in ottima posizione per essere osservato, possiamo trovare l’ammasso delle Pleiadi. Le sette sorelle (così tante se ne vedono di stelle per chi ha buona vista e buoni cieli) sono uno spettacolare ammasso aperto splendido da osservare con un binocolo o un telescopio a bassi ingrandimenti ed affascinate ad occhio nudo e spesso scambiato per il piccolo carro. Tanto affasciante da essere molto probabilmente stato incastonato come raggruppamento di stelle nella più antica mappa celeste mai ritrovata. Il disco di Nebra, manufatto risalente tra il tra il 2000 e il 1700 a.C. e con una storia del suo ritrovamento clandestino degna del miglio film di Indiana Jones. Il disco racchiude ancora affascinanti misteri sul suo utilizzo antico ma sicuramente possiamo dire che a differenza di quello che credevano i tombaroli che l’hanno trovato, esso non è uno scudo da battaglia ma uno strumento per utilizzo astronomico. Che bello sarebbe se tutti i manufatti bellici si trasformassero in mappe ed oggetti celesti da usare per abbellire la nostra vita! Oggi il disco di Nebra non è più oggetto di scambi clandestini ma è custodito nel museo di Halle, in Sassonia-Anhalt. Se vi capita fateci un salto e pensate alle Pleiadi!
La costellazione dell’Auriga, il grosso esagono irregolare a nord della costellazione del toro con il quale condivide la stella Elnath, è un contenitore di ammassi stellari. Messier ne ha catalogati ben tre, M36, M37 ed M38.
La stella più brillante dell’Auriga è Capella, un sistema di quattro stelle la cui luminosità totale è di poco inferiore a quella di Vega. Ma c’è una stella ancora più particolare in questa costellazione: Epsilon Aurigae una delle stelle più strane che si conosca. È una variabile ad eclisse la cui luminosità varia in un periodo poco più lungo di 27 anni a causa di un disco sottile di polveri che orbita intorno alla stella. Questo disco si troverebbe quasi di taglio rispetto al piano su cui si trovano la stella e la Terra. Un allineamento assolutamente eccezionale che rende (per ora) unica questa stella.
Di Orione ce ne occuperemo prossimamente. Cassiopea e Perseo sono sempre alte nel cielo mentre inizia a farsi vedere la costellazione dei gemelli.
[...]
E per novembre è tutto, buone osservazioni e speriamo più che altro di non finire come le Pleiadi… belle si, indubbiamente… ma morte di dolore per le sventure del proprio padre Atlante e poi trasformate in stelle!
A cura di Fabrizio Villa
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Servizio di Claudia Mignone e Francesca Aloisio
#hpc #bigdata #pnrr
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Non si tratta di una cartolina qualunque, ma il filmato a più alta risoluzione della corona in assetto tranquillo mai ripreso da qualunque strumento. Gli scienziati definiscono il Sole “quiet”, tranquillo appunto, quando c'è poca attività solare apprezzabile, come brillamenti o espulsioni coronali di massa.
Questo filmato, assieme ad altri ripresi durante l'incontro ravvicinato, mostra nei dettagli la natura dinamica di questa vasta corona caratterizzata da temperature di milioni di gradi, mentre, lo ricordiamo, la superficie è “solamente” a 6000 gradi.
Il plasma, il gas elettricamente carico, è qui in costante movimento, guidato e accelerato dai cambiamenti del campo magnetico solare. Gli archi luminosi di plasma visibili nel filmato sono tenuti in posizione da anelli di magnetismo che erompono nella corona dall'interno del Sole.
Il Sole sta attualmente aumentando i suoi livelli ciclici di attività, che dovrebbero toccare il massimo nel 2025. È quindi probabile che pacati panorami coronali come questo diventino sempre più rari nei prossimi anni.
Servizio di Stefano Parisini
Crediti video: ESA/Solar Orbiter/EUI Team; Frédéric Auchère, IAS.
Musica: Toccata dalla Sonata n. 6 di P.D. Paradisi (1707-1791), pianista Annarita Santagada
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Osservare l'universo significa studiare la luce emessa da tutto ciò che compone l’universo stesso, sia la luce che possiamo vedere con i nostri occhi ma anche e soprattutto quella che non vediamo.
Ogni corpo emette o riflette un qualche tipo di luce o, più esattamente, di radiazione elettromagnetica, che ha la forma di un’onda caratterizzata da una specifica lunghezza e frequenza. Maggiore è la lunghezza d’onda, minore risulterà la frequenza.
Osservare l'universo significa dunque raccogliere e catturare queste onde, la cui lunghezza differisce a seconda della temperatura del fenomeno o del corpo osservato. Il Sole – seimila gradi alla superficie radiante - emette onde elettromagnetiche. Anche Giove emette e riflette delle onde.
Ecco, vedete quella stella? No? Niente paura, è normale: si tratta di una gigante blu, una stella estremamente calda, a più di 25 mila gradi. Eh, sì: secondo le leggi della fisica il blu è caldo e il rosso è freddo. Dunque questa gigante blu emette principalmente onde di lunghezza corta, dell’ordine della decina di nanometri. Onde a noi invisibili, in quanto i nostri occhi sono sensibili solo a un’infima parte dell’intero spettro elettromagnetico, quella compresa tra 0,4 e 0,8 micrometri di lunghezza.
E’ la luce visibile, che non a caso corrisponde al dominio di emissioni del Sole attorno agli 0,6 micrometri, un evidente adattamento evolutivo all’ambiente.
Il telescopio ottico è stato inventato nel diciassettesimo secolo, per catturare la luce visibile e amplificare quello che i nostri occhi possono vedere. Con un telescopio si possono osservare oggetti lontani e poco luminosi. In che modo? Il telescopio raccoglie e concentra la luce per mezzo di specchi che la proiettano su un rivelatore: un occhio al tempo di Galileo, un sensore digitale al giorno d'oggi.
Il principio di funzionamento del telescopio non è cambiato, anche se gli strumenti hanno guadagnato in prestazioni. Ad esempio, grazie al suo specchio di 40 metri di diametro, il futuro telescopio europeo Elt potrà raccogliere il debole segnale di onde che sono state emesse a miliardi di anni luce dalla Terra.
Inoltre, dagli anni '60 inviamo telescopi nello spazio, dove questi strumenti possono lavorare a tempo continuo mentre sulla terra le osservazioni sono rese difficili dalle nuvole, dai disturbi indotti dall'atmosfera, dalla rotazione terrestre e dall'arrivo del sole ogni mattina.
Ma cosa si osserva con i telescopi ottici? Pianeti, esopianeti, stelle, asteroidi, galassie, nebulose. Questi telescopi ci permettono sia di scoprire oggetti che non ci aspettavamo sia di confermare la loro esistenza prevista dai calcoli. Il telescopio spaziale Hubble ha contribuito a determinare le dimensioni e l'età dell'universo, mentre Gaia ha prodotto la carta d'identità dettagliata di 2 miliardi di stelle.
Ma i telescopi ottici, come i nostri occhi, hanno i loro limiti. Se guardiamo lì, verso il centro della nostra galassia, vediamo grandi nubi di polvere. E dietro? Eh, i nostri occhi e i telescopi che catturano solo la luce visibile non possono passare attraverso questa polvere. Allora cambiamo tipo di telescopio.
Traduzione di Stefano Parisini
Scruter l'Univers : #1 – Voir le visible
Video originale https://videotheque.cnes.fr/doc=38743
Une production CNES-SapienSapienS
Réalisation SapienSapienS
Auteurs : Claire Burgain , Clément Debeir, Agence SapienSapienS
Images : Shutterstock : Cast Of Thousands Pixabay : cocoparisienne Unsplash : Nathan Van Egmond, Winel Sutanto, Mockup Graphics, Dan Smedley, Uriel Soberanes, NON, Mitchell Griest Pexels : Polina, Juan Martin Lopez CNES : © CNES/ESA/Arianespace/Optique Vidéo CSG/P Baudon, 2021 ESA: © ESA/ill./DUCROS David, 2018 ESO: ESO/Digitized Sky Survey 2, ESO/M. Kornmesser, ESO/M. Kornmesser/Nick Risinge, NASA/SDO, ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), Venus_NASA-JPL, © ESO/D. Crabtree. NASA : NASA/SDO, ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), NASA, ESA, STScI, Paul Sell (University of Florida) ACKNOWLEDGMENT: Leo Shatz, NASA, ESA, Amy Simon (NASA-GSFC), Michael H. Wong (UC Berkeley) IMAGE PROCESSING: Joseph DePasquale (STScI)
Musiques : Discrepancy by Origami Pigeon (Premiumbeat.com) Sudden Impulse by Origami Pigeon (Premiumbeat.com) Dub Pop by Seth Imming (premiumbeat.com)
Merci à Thierry Bret-Dibat et Philippe Laudet pour leurs relectures attentives.
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Riprese e montaggio di Marco Malaspina
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Si tratta di un’esperienza interattiva per far vivere a chi partecipa il viaggio dei fotoni – le particelle della luce – dalle profondità del Sole, dove iniziano la loro avventura, attraverso i pianeti e altri corpi celesti del Sistema solare, fino ai telescopi degli astronomi che, dalla Terra, osservano questi corpi per studiarli in dettaglio, comprenderne il funzionamento e realizzarne splendide immagini.
In linea con il tema del festival – Linguaggi – le sfide e gli indizi per superare le diverse prove saranno forniti attraverso un linguaggio particolare: quello della logica computazionale e della programmazione. Per uscire dalla Escape Room, chi partecipa dovrà quindi mettere in campo le proprie abilità logiche attraverso la pratica del coding unplugged (ovvero la programmazione senza l’uso di dispositivi digitali) supportata da piccoli robot.
Il tempo previsto per uscire dalla Escape Room è di circa 60 minuti.
In teoria, è possibile la partecipazione fino a un massimo di 8 squadre, contrassegnate ciascuna da un colore diverso, ma si consiglia di limitare il numero di squadre a 4-5 (con circa 4-5 partecipanti per squadra).
L’Escape Room è stata sviluppata da Claudia Mignone, Federico Di Giacomo, Laura Leonardi, Maria Teresa Fulco, Silvia Galleti e Maura Sandri. L’immagine del Sole usata come sfondo nel labirinto è stata realizzata da Barbara Olmi.
Per approfondire: https://play.inaf.it/escape-room/
#sole #coding #astronomia
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Servizio di Stefano Parisini
#festivalscienza
#genova
#CTA
#ASTRI
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Servizio di Marco Malaspina
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Servizio di Valentina Guglielmo
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Servizio di Marco Malaspina
Per approfondire: https://www.media.inaf.it/2022/10/19/ixpe-cassiopea-a/
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Tutti gli elementi e gli eventi dell'universo emettono luce, o più esattamente radiazione elettromagnetica. Questa ha la forma di un'onda, caratterizzata dalla sua lunghezza e dalla sua frequenza.
Quando la distanza tra le creste ha una lunghezza compresa tra 0,4 e 0,7 micrometri si chiama luce visibile e i nostri occhi possono catturarla. Poi ci sono tutte le altre, comprese le cosiddette onde radio, con lunghezze d’onda molto ampie, a partire dal millimetro e fino a 100.000 chilometri.
Attenzione! Nulla a che fare con la musica: le onde radio non centrano nulla con le onde sonore. Sono state chiamate così perché possono trasportare informazioni che possono essere trasformate, certamente in suoni ma anche in immagini o altro.
Le onde radio, come la luce visibile, sono onde elettromagnetiche che possono viaggiare nel vuoto e nello spazio. Catturare le onde radio significa creare un'immagine parziale e particolare dell'universo, un po’ come quando una persona cieca ascolta i suoni per crearsi un'immagine mentale di quello che succede attorno.
Le onde radio sono state scoperte nel 19° secolo e poi rapidamente utilizzate per la comunicazione senza fili. Oggi sono utilizzate per telefonare, ascoltare la radio, riscaldare i cibi e indagare l'universo.
Uno dei motivi per cui queste onde sono di grande interesse è che passano un po' ovunque, in particolare attraverso l'atmosfera e le nuvole. Ecco perché ci sono molti radiotelescopi collocati a Terra e non a bordo di satelliti.
In linea di principio un radiotelescopio funziona come un telescopio ottico tranne per il fatto che lo specchio di raccolta della luce è in questo caso un'antenna di raccolta delle onde radio.
Cosa ci mostrano le onde radio dell’universo? Ad esempio, ci permettono di vedere in profondità nelle nubi d’idrogeno quando iniziano a nascere stelle; oppure di scoprire le pulsar, i nuclei stellari che vorticano producendo fasci di onde radio; o anche di dimostrare che il vuoto interstellare in effetti non è vuoto ma disseminato d’idrogeno.
Questa immagine in onde radio mostra chiaramente i filamenti di idrogeno tra le stelle. Stelle che non possiamo vedere poiché emettono a lunghezze d'onda molto più piccole e non vengono quindi rilevate dal radiotelescopio, risultando invisibili in questa immagine.
Ci si potrebbe chiedere come facciamo a sapere che si tratta proprio di idrogeno. Grazie alla spettroscopia, ovvero l'analisi dettagliata delle onde elettromagnetiche, le onde stesse possono essere come sezionate con un bisturi, rivelando molte più informazioni.
Si può infatti scomporre un'onda di qualunque tipo, ottenendo quello che viene chiamato spettro caratteristico della materia all'origine dell'onda medesima.
Lo spettro contiene come un codice, una firma, la cui analisi dà informazioni come la composizione chimica del corpo che ha l’ha emessa o del mezzo che l’onda ha attraversato nel suo tragitto.
Tra le onde radio troviamo anche le microonde. Ecco come apparirebbe il cielo se i nostri occhi fossero sensibili solo alle microonde. Se sembra poco interessante, può essere d’incentivo considerare come le microonde che viaggiano attraverso il nostro universo siano state effettivamente emesse quasi 14 miliardi di anni, fa solo 400.000 anni dopo il Big Bang.
Il satellite europeo Planck è stato in grado di fotografare con una precisione senza pari il fondo cosmico a microonde, in pratica una foto dell'universo primitivo molto ricca di informazioni per gli scienziati.
Studiare l'universo significa osservarlo, misurarlo, guardarlo in tutte queste lunghezze d'onda, in tutte le sue luci, per capirlo e per capire noi stessi, la Terra, la vita, perché dell’universo siamo una parte, seppur piccolissima.
Traduzione di Stefano Parisini
SCRUTER L’UNIVERS : #4 – Capter les ondes radio
Video originale https://videotheque.cnes.fr/doc=38803
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Musiques :
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Il bollettino di ottobre 2022 è a cura di Alessandro Bemporad, riprese e montaggio di Alberto Cora. Dati Esa/Nasa, elaborazione Swelto.
https://sorvegliatispaziali.inaf.it
http://swelto.oato.inaf.it
#spaceweather
#sole
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Tutti gli elementi e gli eventi dell'universo – come pianeti, stelle, nubi di gas, esplosione stellari - emettono luce, o più esattamente radiazione elettromagnetica. Questa ha la forma di un'onda, caratterizzata dalla sua lunghezza d’onda e quindi dalla sua frequenza ed energia. Le radiazioni con lunghezza d’onda minore veicolano più energia.
Osservare l'universo significa catturare e osservare tutti i suoi aspetti, sia quelli visibili, utilizzando telescopi ottici sensibili alla stessa luce che l’occhio umano è in grado di captare, sia gli aspetti invisibili, che sono la maggior parte.
Come l’ampio spettro delle radiazioni ad alta energia: la radiazione gamma, la più energetica nell'universo, o i raggi X. Affinché un corpo emetta raggi X deve raggiungere temperature dell'ordine del milione di gradi.
Ecco un immagine del nostro Sole visto in raggi X. Risulta nera perché la sua superficie a seimila gradi è troppo fredda per emettere raggi X, ma guardando più attentamente l’immagine rivela una potente eruzione solare che proietta materia surriscaldata, abbastanza calda da emettere questo tipo di radiazione.
È facile comprendere dunque l'interesse di osservare l'universo con occhi nuovi, attraverso telescopi che catturano queste radiazioni invisibili ai nostri occhi. Un po’ come succede quando una radiografia è in grado di svelare ciò che l'esame clinico non aveva rilevato.
Naturalmente, raccogliere questo tipo di #onde #elettromagnetiche richiede un po' di lavoro ingegneristico: non si può costruire un telescopio a raggi X come uno terrestre. Raggi X, gamma e ultravioletti avendo lunghezze d'onda molto corte non attraversano l'atmosfera terrestre. Il che è decisamente meglio per la nostra salute, ma ci costringe a osservarli dallo spazio, usando telescopi specializzati come Integral o il futuro Svom. Citiamo anche Xmm-Newton e Chandra, nonché il satellite per raggi X Athena, il cui lancio è previsto nel 2035.
Un aspetto curioso è che se la luce visibile si riflette su specchi o lenti non è così per radiazioni x e gamma, che semplicemente passano attraverso i telescopi, i quali devono avere un'architettura particolare. Nei telescopi per raggi X, in fatti, gli specchi di raccolta sono posizionati in maniera che i fotoni li colpiscano in modo radente, arrivando di rimbalzo sul sensore mediante piccole deflessioni.
Per i raggi gamma si può usare un telescopio a maschera codificata. In assenza di specchi, qui si sfrutta un gioco d’ombre per definire la provenienza dei fotoni. Prima di arrivare al rivelatore, la radiazione gamma incontra un filtro a maschera, realizzato per esempio in tungsteno o in tantalio, materiali in grado di fermare i raggi gamma.
Questa maschera presenta dei fori, disposti secondo precisi schemi, da cui i raggi gamma possono passare. Il diagramma che si forma sul rivelatore viene analizzato attraverso appositi calcoli matematici da cui si deduce la provenienza delle rispettive onde.
Ma cosa si osserva con l'aiuto dei telescopi x, gamma o ultravioletti? Attenzione: le anime sensibili si astengono, perché le loro onde molto energetiche sono prodotte da eventi di straordinaria violenza, come l'implosione o l'esplosione cataclismatica di una stella, o l'espulsione di materiale surriscaldato mentre viene divorata da un mostruoso buco nero.
Ma ora è venuto il momento di cambiare tipo di telescopio, per lasciare questo universo brutale e magari osservare la nascita di una stella bambina.
SCRUTER L’UNIVERS
#3 – Scanner via hautes énergies
Traduzione di Stefano Parisini
Video originale https://videotheque.cnes.fr/doc=38779#
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Musiques : Dub Pop by Seth Imming (Premium Beat) Under the Dome by Olive Musique (Premium Beat) Suspect in Sight by Olive Musique (Premium Beat)
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Che ci fa un elemento pesante come il bario sospeso là nell’alta atmosfera di questi due mondi alieni? Nei nostri cieli, per vederlo, occorre spararlo in alto a forza, come avviene durante i fuochi d’artificio, ai quali conferisce la tipica colorazione verdastra. Ma la sua presenza là nell’aria d’altri mondi è un vero mistero. Ed è anche un record: mai prima d’ora ci si era imbattuti in un elemento così pesante in un’atmosfera planetaria. D’altronde sono mondi strani – esotici, li chiamano gli scienziati – nei quali si ritiene che piovano gocce di ferro, tanto per dire. Dunque è quasi certo che le sorprese non finiranno qui, soprattutto ora che stanno per entrare in funzione telescopi e strumenti ancora più potenti.
Per saperne di più: https://www.media.inaf.it/2022/10/13/bario-esopianeti-espresso/
#WASP76b #WASP121b #ESPRESSO
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Questa sequenza di immagini mostra come è apparsa la nostra stella al veicolo spaziale durante l’avvicinamento avvenuto dal 20 settembre al 10 ottobre.
La sequenza è stata ripresa dallo strumento Extreme Ultraviolet Imager , utilizzando il telescopio Full Sun Imager, a una lunghezza d'onda di 17 nanometri. Invisibile all’occhio umano, questa radiazione viene emessa dal gas nell'atmosfera del Sole che ha una temperatura di circa un milione di gradi.
A seconda di dove si trova Solar Orbiter lungo la sua orbita, possono essere necessari giorni o anche settimane prima che i dati registrati dalla sonda vengano trasmessi alle stazioni riceventi terrestri. I dati dell'attuale passaggio del perielio dovrebbero essere scaricati entro un paio di settimane dalla raccolta.
Le manovre orbitali di Solar Orbiter, oltre che fare passare la sonda sempre più vicino al Sole, incrementano progressivamente la sua inclinazione rispetto all’eclittica, portandola su un’orbita leggermente polare rispetto al Sole. Gli scienziati contano di potere scrutare per la prima volta una zona mai osservata prima, quella polare, appunto, il cui complesso magnetismo potrebbe celare i segreti sulla durata dei cicli solari.
Servizio di Stefano Parisini
Credit: ESA & NASA/Solar Orbiter/EUI Team
Musica CC: The Maze by Frank Mehl
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Una ricostruzione spettacolare ma al tempo stesso verosimile, sostengono gli autori, in grado di spiegare i dati in nostro possesso meglio di altri modelli. Dati come la sorprendente somiglianza tra le firme isotopiche della materia lunare e di quella terrestre, per esempio: somiglianza che fa appunto supporre che una buona parte della Luna, e in particolare della sua crosta, sia di origine terrestre. E anche l’orbita del nostro satellite sembrerebbe più in accordo con un evento rapidissimo come quello emerso dalla nuova simulazione della Nasa rispetto per esempio a uno scenario alternativo – noto come sinestia – in cui la Luna e la Terra avrebbero invece preso entrambe lentamente forma da una colossale nube di resti vaporizzati di un precedente impatto.
Servizio di Marco Malaspina
Video originale: youtu.be/kRlhlCWplqk
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Siamo andati all’apertura dei lavori e abbiamo intervistato la responsabile scientifica di Ariel, Giovanna Tinetti, astrofisica allo University College di Londra.
"Il consorzio di Ariel oggi ha più o meno 500 iscritti tra scienziati e ingegneri che provengono da contributo della Nasa e un contributo della Jaxa. Però, diciamo, lo strumento di Ariel è soprattutto un contributo inglese-italiano e francese-polacco. In particolare l'Italia dà un grosso contributo sia perché costruirà il telescopio, ma c'è anche un grande contributo scientifico, in particolare su molti temi come la caratterizzazione stellare, l'attività stellare, la misura delle masse. E ci sarà anche un grosso contributo italiano al ground segment".
Quando prevedete di lanciarlo?
"Il telescopio spaziale Ariel verrà lanciato nel 2029. Verrà lanciato in L2, che è un punto a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, e da questa posizione osserverà un migliaio di atmosfere esoplanetarie".
Ecco, a questo proposito, quando Ariel arriverà in L2, nel 2029, troverà ad attenderlo tanti altri telescopi spaziali, tra i quali soprattutto il James Webb, che quanto allo studio e alla rilevazione di atmosfere esoplanetarie sembra che stia facendo già da adesso un ottimo lavoro. C'è qualcosa di particolare che Ariel sarà in grado di fare più – o meglio – di James Webb?
"Sì, Ariel sarà in L2 così come anche James Webb e anche altre missioni spaziali, perché ovviamente questo è un punto molto strategico, prima di tutto dal punto di vista termico, per queste emissioni che hanno, che che guardano, che fanno misure in infrarosso. Ma anche proprio per la visibilità del cielo. James Webb è sicuramente un telescopio fantastico. Parliamo di un diametro di 6,5 metri. E tra le tante cose che fa e farà ci sono anche gli esopianeti. Si sono già visti i primi dati, recenti, è assolutamente indubbio che questi dati saranno estremamente utili per aiutarci a comprendere queste atmosfere. Il problema di James Webb è che tutta la comunità astrofisica lo vuole, per ovvie ragioni, e quindi da un lato non c'è necessariamente tempo per riuscire a fare un gran numero di atmosfere esoplanetarie, sicuramente non le centinaia che farà Ariel, proprio perché per ragioni di tempo Ariel avrà una missione dedicata, quindi dedicherà almeno quattro anni della sua vita, e anche di più, visto che non c'è motivo per interromperla dopo quattro anni, e quindi ovviamente avrà molto tempo a disposizione per guardare in grandi dettagli queste atmosfere. E poi c'è anche molta complementarietà, in realtà, tra James Webb e Ariel. Da un lato James Webb, appunto, grazie a questo enorme telescopio, ha anche rivelatori molto molto sensibili che fanno sì che sarà assolutamente ottimo per guardare, ad esempio, pianeti molto piccoli, freddi, intorno stelle più fredde nel nostro Sole, per esempio i pianeti Trappist, che sono sicuramente molto noti nella comunità scientifica degli esopianeti. Però ovviamente uno non vuole necessariamente usare James Webb per guardare delle sorgenti estremamente brillanti, laddove invece dove Ariel avrà proprio il suo il suo fuoco di interesse. E quindi secondo me c'è anche molta complementarietà. La speranza è che i due lavorano insieme, magari anche solo per un breve periodo di tempo, in particolare se James Webb continuerà a funzionare per una decina d'anni, questo non è non è impossibile. E allora sarà bellissimo, perché uno può usare l'uno in supporto dell'altro, essendo così complementari, sarebbe assolutamente fantastico".
Servizio di Marco Malaspina
#ESA #Ariel #Esopianeti
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Servizio di Claudia Mignone.
Creative commons soundtrack: Ecossaise in E-flat di Kevin MacLeod
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Servizio di Guido Sbrogiò
Per saperne di più: https://indico.ict.inaf.it/event/2060/
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Le immagini a questo livello di ingrandimento appaiono rumorose, ma la geometria piuttosto semplice e lineare delle sommità e delle sue strutture consentono ai ricercatori di calibrare i dati dell'immagine e ottenere delle previsioni teoriche sulla loro composizione.
Ammoniaca, idrosolfuro di ammonio e ghiaccio d'acqua le diverse specie chimiche che secondo i modelli teorici comporrebbero le nuvole.
Altre osservazioni, sostengono gli autori dei rendering, potrebbero aiutare a migliorare la comprensione della struttura e della dinamica dell'atmosfera di Giove.
Servizio di Laura Leonardi
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Siamo andati a Palermo, presso il Campus universitario di viale delle Scienze, dove la pioggia battente non ha scoraggiato i più curiosi, pronti a lasciarsi coinvolgere in incontri, concerti ed esperimenti di ogni sorta.
Tra i tantissimi banchetti allestiti per l’evento, si parla anche di fisica dei materiali, di chimica dei colori, di cambiamenti climatici, di biodiversità marina, di interazione tra uomo e robot, sempre con una particolare attenzione ai più giovani.
Certamente l’Inaf non poteva mancare. Tutte le sedi dell’Istituto nazionale di astrofisica hanno dato il loro contributo con iniziative locali di divulgazione.
A Palermo, esplorazioni virtuali tra le supernove di StarBlast, l’app targata Inaf, seminari, stampe 3D, realtà aumentata e persino un karaoke scientifico.
Il maltempo ha impedito l’utilizzo dei telescopi dell’Osservatorio astronomico di Palermo, ma non sono mancati i momenti di confronto con i partecipanti più curiosi.
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Trovate tutte le attività dell’Inaf su https://edu.inaf.it/notte-europea-dei-ricercatori/
Servizio di Laura Leonardi
Musica di Ukulele Trip
#Ndr #europeanresearchersnight #Sharper
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e se proprio dovesse essere nuvolo, osservatela attraverso un computer, collegandovi a dirette in streaming o se proprio siete in crisi cercate una sua fotografia in un libro che avete a casa. Insomma non perdete l’occasione, con qualsiasi mezzo, di sentirvi parte di u’una vasta comunità di osservatori lunari!
E soprattutto non perdete l’occasione di essere in sintonia con il nostro satellite!
La Luna sarà al primo quarto il 3 ottobre, piena il 9, ultimo quarto il 17 e Luna nuova il 25 ottobre. Suggerisco quando inizia la fase calante ossia dal 10 in poi, di provare a vedere la Luna di giorno. Non dovrebbe essere difficile con cieli sereni. Al mattino presto e man mano che passano i giorni anche in tarda mattinata, ben alta sull’orizzonte.
E per la Luna questo mese è proprio particolare. Perché avremo l’occasione speciale e rarissima di vedere la Luna esattamente quando è nuova e quindi in linea con il Sole. Infatti il 25 ottobre ci sarà un eclisse parziale di Sole. Il disco solare verrà oscurato al massimo dell’82% ma dall’Italia verrà oscurato al massimo poco più del 20%. Osservarla sarà bella ed interessante ugualmente.
Il fenomeno inizierà dalle ore 9 fino alle 13 di Tempo Universale. Ma dall’Italia sarà visibile (e qui diamo le tempistiche in orario locale cioè il tempo segnato dai nostri orologi) a partire da qualche minuto dopo le 11 fino alle 13:30 circa e dipende anche dalle zone di osservazione. Come riferimento, dall’INAF di Trieste l’eclissi inizierà alle 11:18 e terminerà alle 13:22 mentre il fenomeno osservato dall’INAF di Palermo inizierà alle 11:35 e terminerà alle 13:20.
Preparatevi opportunamente e per tempo: non guardate mai il Sole direttamente nemmeno con occhiali da Sole, vetri o pellicole annerite fatte in casa ne’ tantomeno con binocoli o telescopi senza i filtri necessari. Procuratevi nei negozi specializzati occhialini per l’osservazione del Sole che filtrano le radiazioni pericolose e soprattutto certificati in modo che gli occhi non vengano danneggiati.
Oppure potete sempre costruire con poca spesa in poco tempo un telescopio solare come questo.
Proseguendo con gli altri fenomeni celesti da segnalare, il 5 ottobre ci sarà una congiunzione della Luna con Saturno visibile già al calar del Sole fino al una del mattino del giorno dopo.
l’8 invece, sempre la Luna, sarà in congiunzione con Giove visible dopo il tramonto verso Est. La Luna sarà praticamente piena e i due astri, incrociando il meridiano verso la mezzanotte, saranno visibili per tutta la notte.
Da segnalare anche che nella notte tra il 14 ed il 15 ottobre Marte sarà in congiunzione con la Luna nella costellazione del Toro.
Giove e Saturno saranno ancora i pianeti che domineranno il cielo di ottobre insieme a Marte. Non fateveli scappare anche questo mese!
In direzione nord l’orsa maggiore è sempre bassa mentre all’opposto rispetto l’orsa minore potremo osservare la costellazione di Cefeo e Cassiopea.
Ad Est inizia a farsi visibile la costellazione del toro ed dell’Auriga con anche Marte ben visibile. Inoltre sarà sempre più alto Perseo.
A Sud, Giove e Saturno faranno da faro alle costellazioni dei Pesci e del Capricorno rispettivamente, mentre alte sull’orizzonte saranno ben visibili il quadrato di Pegaso e Andromeda con la galassia M31.
Ad Ovest ritroviamo le costellazioni estive del cigno della Lira e dell’Aquila che tramonteranno per lasciare spazio alle costellazioni più invernali in procinto di sorgere ad Est.
E per il mese di ottobre è tutto non ci resta che sfruttare la serata di Halloween per eclissarci nei nostri pensieri.
Mi raccomando non dimenticate di vedere l’eclisse di Sole, sarà bellissima!
A cura di Fabrizio Villa
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